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La mia Parigi - La Parigi di Giorgio Forattini

InviatoCOLON dom dic 04, 2005 4:19 pm
da andreasarti
GIORGIO FORATTINI
«LA MIA PARIGI»


«Mi piace passeggiare senza meta, osservare le vecchie case, rovistare nei mercatini», dice il disegnatore satirico che da sette anni vive nella capitale francese


«Quando giro per Parigi, mi scoppia il cuore dalla felicità». Ascolti Giorgio Forattini e pensi a Charles Trenet, il poeta della douce France, e alle sue canzoni surreali sul cuore che fa "bum bum". Ma il paragone si ferma qui: Trenet cantava – tra l’altro – Parigi e i suoi innamorati; Forattini preferisce dedicare le sue vignette all’attualità politica italiana: la capitale francese non è per lui fonte di ispirazione (non ancora: chi sa?), bensì un rifugio da cui guardare con maggiore distacco alle vicende di casa nostra.

Il disegnatore vive da sette anni a Parigi, di cui ama l’atmosfera cosmopolita e il clima intellettuale. Incantato dalla Ville Lumière, Forattini potrebbe sottoscrivere ciò che diceva, nell’Ottocento, un romanziere come Balzac: «Parigi è il più delizioso dei mostri: là bella donna; più in là, vecchia e povera; qui nuova nuova come la moneta di un nuovo regno; in quell’angolo, elegante come una signora alla moda».

In quale quartiere ha scelto di abitare?

«Nel Marais, non lontano dalla Bastiglia e dall’Hôtel de Ville, il municipio. Un quartiere che ha conservato un’anima popolare, anche se da qualche anno è considerato alla moda. Mi piace passeggiare per le sue strade, osservare le vecchie case e le piazze, a cominciare dalla vicina Place des Vosges, con le sue arcate. Mi piace entrare nei bar, conversare con la gente. Il Marais è un quartiere multietnico, con una fortissima presenza ebraica. Fino a non molto tempo fa era il quartiere ebraico per eccellenza».

Perché ha scelto Parigi?

«Un po’ per esclusione. Io adoro l’Italia, ma Roma – che è la mia città – era diventata, per uno come me, invivibile, e Milano... Milano è una città che sa sfruttare molto bene il talento degli altri, ma non potrei abitare per molto tempo a Milano. Così, quando il mio amico Renzo Piano, che vive qui, mi ha indicato una casa nel Marais, ho colto l’occasione. Da qualche anno, divido il mio tempo tra Milano, la Toscana e Parigi».

Per uno che fa il suo mestiere non è un handicap vivere fuori dall’Italia?

«Per nulla. Il fatto di trascorrere a Parigi almeno dieci giorni al mese mi consente di osservare con disincanto la vita politica e le polemiche italiane. E poi: come negare gli altri vantaggi? La qualità della vita, i servizi che funzionano... Qui i ritmi sono meno concitati, c’è meno agitazione».

Qual è il fascino di Parigi?

«A me piace molto camminare, i francesi dicono flâner, passeggiare senza una meta, osservando la gente e il paesaggio. E Parigi per questo è il luogo ideale. Cominciando a lavorare alle mie vignette nel pomeriggio, ho il tempo di andare alla scoperta della città. Così, spesso, la mattina – dopo il Telegiornale delle otto, per le notizie dall’Italia – faccio lunghe passeggiate. Mi piacciono i mercatini, non solo quelli delle pulci (a Vanves, Montreuil, Saint-Ouen), mi piace rovistare tra i banconi alla ricerca di vecchi oggetti o di vecchi mobili con cui arredare la casa».

Frequenta i suoi colleghi francesi?

«Frequento in particolare Plantu e Pancho, disegnatori di Le Monde. E qualche collega del settimanale satirico Le canard enchaîné. Con Plantu, che conosco da molto tempo, c’è una grande affinità. Ma anche molti altri colleghi mi hanno testimoniato la loro amicizia in occasione della mostra che l’Istituto italiano di cultura ha voluto dedicare ai miei disegni».

Lo scrittore Jean Cocteau diceva che i francesi sono "italiani di cattivo umore". Questa considerazione vale anche per i parigini?

«Per la verità, non è che i parigini siano sempre di ottimo umore. Ma noi italiani, rispetto a loro, abbiamo un vantaggio. I francesi hanno una grande storia, ma nutrono, nei confronti dell’Italia, una specie di complesso culturale. Il borghese illuminato, il francese colto, ammira l’Italia e la sua cultura, la sua arte. E questa ammirazione si traduce in un atteggiamento positivo, di amicizia per noi italiani, anche nelle mille occasioni della vita quotidiana».

Piero Pisarra